A Mio padre enrico
8 Settembre 1943, giorno dell'Armistizio, trovandosi in zona di guerra in Albania, abbandonato e senza ordini, come tutto l'esercito italiano, dal Re Vittorio Emanuele III di Savoia e dallo Stato Maggiore, fuggiti di nascosto in macchina all'alba del giorno successivo, fu disarmato dai nazisti, deportato in uno dei loro lager dove fu schiavizzato ed affamato per aver rifiutato l'arruolamento nelle file dell'esercito nazista o fascista.
Il suo nome è Enrico e così ho voluto chiamare anche mio figlio.
Nasce a Monteverdi M.mo (PI) il 24.01.1923 da umile famiglia di boscaioli/carbonai papà Livio e mamma Anna.
Muore il 14.10.1975 a Torino durante i restauri di Palazzo Madama (sede del primo Parlamento Italiano 1861) in piazza Castello.
Era il secondo di 6 fratelli e sorelle (Giovanni, Enrico, Lorenzina, Angiolino, Florestano e Loredana).
La famiglia si sposta più volte, da Castagneto, dove nasce Giovanni nel 1921 (morirà a Piombino nel 2012), poi a Monteverdi Marittimo ) Fraz. Gualda), dove nasce Enrico nel 1923, successivamente a Sassetta (Loc Pisciarello), dove vengono alla luce Lorenzina nel 1924 (morta a Venturina) e Angiolino nel 1929 (morto a Piombino) e Florestano nel 1931 (morto a Piombino ad Agosto 2018), quindi altro spostamento a Vignale Riotorto (Loc. Casa Ricci) dove nasce Loredana nel 1944. Ultimo trasferimento al Cotone, Borgata di Piombino.
Enrico frequenta fino alla quarta elementare; a quei tempi mancavano il tempo per andare a scuola e i quattrini per vivere, così inizia ad aiutare la famiglia con uno dei lavori più pesanti: il muratore.
Babbo alle scuole elementari. E' il primo a destra della seconda fila a partire dal basso (con le braccia conserte).
Anno 1931: Enrico, la mamma Anna che sostiene Florestano ed Angiolino.
Anno 1932: Sassetta. Lorenzina, nonna Anna, nonno Livio, Giovanni, Enrico in doppio petto e i più piccoli Florestano e Angiolino.
Il 9 Settembre 1942, in pieno periodo bellico, è chiamato a svolgere il servizio militare a Scandiano (RE) nel 12° Reggimento Bersaglieri, 46° Battaglione Bersaglieri Motociclisti. Dopo un breve periodo di addestramento viene inviato in zone di guerra in Albania a fianco degli alleati tedeschi.
Il babbo con la divisa da Bersagliere
Anno 1933: a sinistra Enrico con il fratello maggiore Giovanni.
A sinistra zio Giovanni, al centro mio padre alla vigilia della partenza per l'Albania.
Mio padre, a sinistra, in Albania.
Babbo a sinistra
Caserma in Albania, babbo è il secondo in alto a destra.
46° Battaglione Motociclisti.
Intorno alla foto si può leggere: "VIVA LA MARMORA" fondatore del corpo dei Bersaglieri..
Bersaglieri Motociclisti
(Immagini Istituto Luce)
Dall' 8 Settembre 1943 al 26 Maggio 1945
8 Settembre 1943 giorno dell'Armistizio
9 Settembre 1943 Il Giorno della VERGOGNA:
all'alba del 9 Settembre con il favore del buio e delle strade ancora deserte avvenne la vergognosa fuga del re Vittorio Emanuele III (volutamente minuscolo) che scappo' di nascosto con tutta la sua altrettanto vergognosa massa di tirapiedi.
Solo Umberto, il figlio, voleva rimanere per organizzare la difesa di Roma ma l'ignobile sovrano non lo permise avvertendo il figlio che se i tedeschi lo avessero catturato lo avrebbero giustiziato. (sorte che avrebbe ampiamente meritato il padre).
Tradirono la loro Patria abbandonando l'Italia e lasciando l'Esercito Italiano assolutamente senza ordini e così i soldati italiani sparsi sui diversi fronti, ignorando la nuova situazione, non furono in grado di difendersi dall'esercito nazista che da alleato, a loro insaputa, era divenuto il nemico.
Ai soldati italiani, che furono dapprima disarmati, fu proposto di continuare la guerra arruolandosi nell'esercito nazista oppure essere deportati nei campi di concentramento in Germania/Austria.
La maggior parte dei militari italiani, tra i quali mio padre scelsero la deportazione nei lager nazisti.
I miliari italiani all'oscuro di tutto vengono disarmati
Il viaggio dall'Albania all'Austria durò alcuni giorni stipati fino all'inverosimile nei carri bestiame dove non c'erano ne acqua ne cibo ne spazi per i bisogni fisiologici.
I sodati italiani visto l'alto numero di uomini presenti in ogni vagone erano costretti a stare in piedi, gli unici coricati sul pavimento, ricoperto da un po' di paglia lurida, erano coloro che perdevano i sensi e alcuni cadaveri.
L'odore dentro quei carri era spaventoso.
La poca luce e la poca aria che entravano nel vagone filtravano dalle piccole fessure presenti nelle pareti del carro bestiame.
Gli unici esseri viventi che si trovavano a proprio agio, in quell'ambiente, erano i pidocchi.
Mio padre insieme al altre centinaia di prigionieri raggiunsero la destinazione nell'Alta Austria esattamente a Pupping e richiusi nello Stalag 398 dove furono immatricolati, ognuno con un numero, 1957 il numero di matricola di mio padre.
Da quel giorno 1957 sostituiva il nome ed il cognome.
Video realizzato da Massimiliamo Pugliese figlio di Bruno Pugliese deportato nello Stalag 398 di Pupping e liberato il 30 Marzo 1945 dagli americani e rientrato in Italia il primo Settembre dello stesso anno.
Fonte Archivio Anrp
Libretto personale dell'Internato Militare Italiano Fanti Enrico
Questa è una cartolina postale scritta dal babbo alla mamma. Sia in arrivo che, come in questo caso, in partenza la posta veniva letta ed eventualmente censurata. In questo caso il babbo ha scritto qualcosa che non avrebbe dovuto.
Avrà scritto che aveva fame, freddo, che lavorava come uno schiavo che non aveva neanche un pezzo di sapone per lavarsi, che molti suoi compagni cadevano ammalati e morivano? Chissà!
Questa è una lettera scritta dalla mamma al babbo.
Dei documenti relativi alla prigionia
Il dopo guerra
1950: io e babbo in Piazza Bovio a Piombino.
1951: con me, in braccio a mamma, e babbo c'é anche zio Loriano sulla spiaggia di Pontedoro.
1953: consueto appuntamento della domenica mattina in Piazza Bovio con l'immancabile bicicletta.
1955: nel giardino della nostra casa al Cotone (Piombino).
Anno 1956: io e babbo una domenica mattina a passeggio in Piazza Bovio a Piombino.
Da bambino, verso la fine degli anni 50, ricordo di aver conosciuto uno dei 2 compagni di rientro in Italia che più che un rientro fu una fuga dai numerosi tumulti, vendette tra sbandati nazisti e popolazione con numerose uccisioni a seguito della fine della guerra.
Il compagno di rientro di mio padre si chiamava Flaminio R. residente a Vercelli e ricordo che venne a farci visita presso la nostra abitazione al Cotone (Borgata di Piombino) con la moglie ed il figlio Pierluigi. Passammo una bellissima mezza giornata nella pineta di Rimigliano.
Recentemente (2022) ho rintracciato il numero di telefono di Pierluigi R. ma, dopo che mi sono presentato e aver ricordato questo episodio e qualcosa sulla prigionia dei nostri padri, mi ha detto che non si ricordava ne di me e ne di quella visita, al che mi è sembrato corretto non insistere. Però stranamente alla vigilia di Natale 2022 mi è inaspettatamente arrivata da Pierluigi una graditissima e-mail di auguri. Evidentemente, ma questo è solo un mio pensiero, forse non ero proprio uno sconosciuto.
Il compagno di fuga di mio padre, poichè lavorava come Internato Militare, per dei contadini austriaci ebbe l'opportunità di prendere un carro ed un cavallo (forse i contadini fecero finta di non vedere anche perchè poi nel carro i tre fuggiaschi trovarono viveri e vestiario. Tutto questo avvenne grazie ad una suora italiana che aveva messo in contatto i tre ex prigionieri.
Grazie a questo, dalla liberazione ad opera dell'esercito americano, trascorsero relativamente pochi giorni, una ventina anche se oggi sembrano tanti ma pensiamo a coloro che per il rientro a casa hanno impiegato anche parecchi mesi.
Il rientro comunque non fu proprio agevole, di giorno erano costretti a nascondersi e viaggiare soprattutto di notte per evitare popolazioni alle quali gli italiani non erano proprio molto simpatici, per giunta anche il cavallo morì e a piedi rientrarono in Italia dalla Vetta d'Italia.
Estate 1956 sulla spiaggia di Rimigliano con mamma e babbo
Questo sono io, credo fine anni 50. Per qualche anno, in occasione della Festa dell'Unità, mio padre contribuiva alla festa realizzando gratuitamente questa fontanella. La faceva nella via che divideva e divide ancora oggi, le borgate Cotone e Poggetto nel tratto che dalla attuale caserma dei Carabinieri portava alla Proletaria e dentro venivano messi dei pesci rossi.
07-08-1956: sulla Lambretta di babbo. Sullo sfondo la nostra casa al Cotone (Piombino).
1959: Con mamma e babbo in occasione della prima comunione nella nostra casa del Cotone (Piombino)
Agosto 1968: La famiglia al completo: Ademis, Stefano, Enrico, Franco appoggiati alla mia prima automobile una nuova fiammante Fiat 850.
Santena, 5 Maggio 1973: il mio Matrimonio con Carla ...........
............. e purtroppo il 12 Ottobre, dello stesso anno, il babbo ha un incidente sul lavoro e due giorni dopo avviene il decesso.
Stampa Sera di Venerdì 12 Ottobre 1973.
Gazzetta del Popolo di Sabato 13 Ottobre 1973.
Stampa Sera di Lunedì 15 Ottobre 1973 .
L'articolo termina con una bugia infatti NON HA MAI PERSO LA CONOSCENZA, quando i medici dell'ospedale Maria Vittoria mi hanno permesso di vederlo mi ha subito chiesto della mamma, l'ho rassicurato e gli ho detto testuali parole: "Sei sopravvissuto e venuto via dalla Germania ora verrai via anche di qui e tornerai a casa", lui assentì e a quel punto i medici mi fecero uscire per non affaticarlo.
Questa è stata l'ultima volta che ho visto in vita mio padre e ci siamo parlati.
27 Gennaio 2020
Conferimento Medaglia d'Onore a Fanti Enrico
Lunedì 27 Gennaio 2010, Giorno della Memoria, durante una cerimonia presso l'Auditorium "Vivaldi" della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino mi è stata consegnata la Medaglia d'Onore che il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha conferito al signor Fanti Enrico per il suo eroico comportamento dopo l'armistizio dell'8 Settembre 1943.
In quei giorni mio padre ebbe il coraggio di dire NO ai fascisti ed ai nazisti rifiutando di arruolarsi nei rispettivi eserciti, consapevole che quella scelta lo avrebbe portato inevitabilmente a soffrire la fame e ad essere schiavizzato in un campo di concentramento della Germania nazista e sapendo anche che il suo ritorno a casa non sarebbe stato certo.
Da sinistra: il Vice Sindaco di Santena Roberto Ghio, il Prefetto di Torino Claudio Palomba, Franco Fanti, il Sindaco di Torino Chiara Appendino e Andrea Tronzano Assessore al Bilancio e Attività produttive della Regione Piemonte.
Da sinistra Roberto Ghio (Vice Sindaco di Santena), Giovanni Gaude ("Le Radici, La Memoria" di Santena), Carla (moglie di Franco), Simone (nipote di Franco), Franco Fanti, Bruno Caratto ("Le Radici, La Memoria" di Santena).
Dritto Medaglia:
Al centro lo stemma della Repubblica Italiana; intorno, la scritta "MEDAGLIA D'ONORE AI CITTADINI ITALIANI DEPORTATI NEI LAGER NAZISTI 1943-1945" racchiusa in una cornice.
Rovescio Medaglia:
Un cerchio di filo spinato, spezzato nella parte superiore, racchiude il nominativo dell'insignito,
UN CURIOSO EPISODIO ACCADUTO AL RIENTRO A CASA NEL MAGGIO 1945
Fanti Fulvio, mio cugino, racconta quanto suo padre Angiolino raccontava a lui:
Dunque, la famiglia Fanti, negli anni 40 del 1900 viveva a Casa Ricci, località tra Venturina Terme e Riotorto e lavoravano tutti quanti più o meno a giornata in campagna.
Nel mese di Luglio del 1944 con la liberazione di Livorno, da parte della V Armata statunitense, fu costruito nella pineta di Tombolo un grande campo militare, anzi una vera e propria base che poi rimase nel tempo e divenne dal 1951 la Base NATO di Camp Derby ancora oggi vitale.
Diversi ragazzi della zona intorno a Livorno furono presi li a lavoro e tra questi c'era anche Angiolino allora quindicenne.
Fu una vera "assunzione" anche se a tempo determinato, con regolare paga e versamento di marchette pensionistiche tanto è vero che mio padre al momento del pensionamento si è ritrovato le marchette versate in modo inaspettatamente regolarissimo.
Fu un periodo abbastanza fortunato per la famiglia, che trovò un buon aiuto per il sostentamento in quei periodi assai critici ma non solo, mio padre lavorava come aiuto di un sergente cuoco alla mensa ufficiali dell'armata; mio padre era il pupillo di questo brav’uomo, per cui rimediava anche un bel po’di cibarie che portava a casa quando tornava in brevi ma frequenti licenze.
Mi raccontava che avevano giornalmente un numero spropositato di polli interi, e per gli ufficiali americani utilizzavano solo cosce e petto. Le carcasse dei polli venivano scartate e per noi italiani era una manna tanto e vero che, ogni sera, Angiolino riforniva il condominio di una famiglia di Livorno dove era ospitato per la notte.
Andando a casa regolarmente portava un bel po' di questo oro oltre ad altre cibarie regalate dal cuoco americano, nonché coperte, scarpe, vestiario, sempre ottenuto in regalo.
Dunque Angiolino, 2 o 3 volte al mese rientrava da Livorno per passare qualche giorno di riposo a casa e viaggiava in treno che nel frattempo aveva ripreso a funzionare.
Un giorno (e qui aggiungo io era il 26 Maggio 1945) prese il treno a Livorno per arrivare alla stazione ferroviaria di Campiglia Marittima, giunto a destinazione scese con una gran moltitudine di passeggeri, si avviò a piedi per prendere la strada Aurelia fino a casa (circa 8 Km.).
Ad un certo punto fu superato da un uomo che con passo più spedito del suo lo precedette nello stesso percorso e grande fu la meraviglia quando lo vide fermarsi alla sua stessa casa.
Era suo fratello Enrico, e non si erano riconosciuti, perché Angiolino, quando il fratello Enrico era partito militare, era un adolescente (Angiolino aveva 13 anni ed Enrico 19), e negli anni successivi doveva aver modificato di molto il suo aspetto, e d'altra parte Enrico, mi raccontava mio padre, aveva una grande barbona bionda, che probabilmente modificava il suo aspetto da quello che il ragazzino ricordava parecchi anni prima ed anche perché le condizioni fisiche precarie del fratello maggiore non permettevano facilmente il suo riconoscimento.
Immagino l'emozione, la gioia, il delirio per quel ritorno inaspettato.
Questa storia mi è stata raccontata molte volte, da mio padre, prosegue Fulvio, da nonno Livio e nonna Anna ma ogni volta con grande emozione e commozione da parte mia
Dopo il rientro a casa so che ci fu, come logico, l'incontro con tua madre. Enrico, accompagnato dalla sorella Lorenzina, si recò in località Amatello dove abitava la fidanzata Ademis.